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venerdì 16 settembre 2011

La scuola inizia

4 giorni di scuola, in ritardo di due giornate causa problema idrico in  città. Si entra e non si ritrovano più volti noti. Sono quelli della quinta dell'anno precedente, che volano altrove, alle prese con test di ammissione, ridimensionamento delle aspettative, delusioni, oppure conferme belle di quanto progettato.Non ci sono più. Al loro posto una nuova quinta, nuove o vecchie classi intermedie, nuove prime. Tocca sdoppiarsi ed anche triplicarsi. Ogni classe ha diritto a un trattamento congruo rispetto all'età, ai livelli di profitto, ai programmi da svolgere.A me fanno tenerezza tutti, anche quelli, ormai scafati, che sembrano agire a scuola come se fossero a casa propria. Fanno i grandi con quelli del primo, si spostano di aula e ti vengono a cercare se hanno un supplente deputato a coprire l'ora del titolare della cattedra che è assente ( dopo un'intera estate).
Quelli delle prime classi li guardano timorosi e invidiosi, non sanno ancora, non hanno familiarità con i docenti, non sanno cosa aspettarsi. Dicono addio alle medie, ma ondeggiano tra la nostalgia del già conosciuto e la paura del nuovo.Si scrutano tra loro con sospetto, ma in fondo sono già "gruppo" e se la burocrazia ha deciso per loro, loro non si piegano ad essa e presto sceglieranno compagni di avventura, di confidenze, di speranze.
A scuola, con le prime classi, ho sempre pensato (e praticato) che il metodo ( che brutta parola!) migliore per avviare il percorso lungo otto mesi, sia quello di fare emergere, conoscere e rispettare, fin da subito, le peculiarità individuali.Come prof. sento il dovere di partire da chi sono quelli che ho davanti. Vengono prima loro del programma da svolgere.Intendiamoci: quel che devo insegnare loro è importante e imprescindibile, ma sento che devo portarli ad accettare tali contenuti, devo irretirli, in un certo senso. Devo catturare la oloro attenzione, motivarli e portarli lì dove l'inizio del programma diventa inesorabile. E' l'atteggiamento con il quale ci arrivano che è importante. Di apertura o chiusura. Tocca a me, nei primi giorni di scuola, favorire l'apertura ad essi. Non è facile per niente. Sono io lì, mi gioco me stessa, quanto a credibilità, carisma, simpatia, competenza.
Gli  studenti delle prime ti guardano e ti soppesano, ogni lezione fanno la tara, ti aspettano al varco, devono decidere cosa fare anche in base a te. Studiare sì, ma quanto, fino a che punto, con quale stato d'animo?
Ogni volta che inizia un anno scolastico, m'interrogo su come presentarmi e presentare le mie materie: soft, rigida, tollerante, possibilista, severa e algida, comprensiva e amichevole. Non c'è una ricetta valida per tutte le classi. Diversificarsi, rimanendo fermi su alcuni punti e sui saperi necessari, è un gioco di equilibrio che costa fatica e tanta energia psichica. Noi insegnanti abbiamo tanti figli, molti di più di una famiglia anche numerosa. Anche il lavoro è moltiplicato, anche se la società non ce lo riconosce.
Ma gli sguardi dei "primini", carichi di attese, paure e speranze dà senso al lavoro da fare.

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